6 luglio 2016

Un ciclista delle Asturie in visita alla diga del Vajont

Ieri sera, mentre ero ancora all'ospedale a svolgere il mio volontariato, mi telefona mia madre un po' spiritata.
- Piera, c'è un uomo con la bicicletta che chiede un letto per stanotte.
Ok, ce l'ho, un letto, e l'uomo mi aspetta sotto casa.

Arrivo trafelata, metaforicamente, visto che sono con la macchina, e trovo un signore di una certa età con i pantaloncini e la maglietta di una squadra delle Asturie. Ha circa la mia età e parla solo spagnolo... delle Asturie, presumo...
Ci capiamo alla Marcel Marceau, riesco a fargli parcheggiare la mitica nel mio garage, mi dà la carta d'identità, esce a cena, non ho capito né dove né cosa abbia mangiato ma mi è sembrato soddisfatto.

Ebbene, la cosa che ho capito bene di questo signore, "parlando" con lui stamattina alle sei davanti a una tazza di caffellatte, è che a 12 anni, nel 1963, lui distribuiva giornali a Oviedo, la sua città, per guadagnare qualche soldino. Sbirciando i titoli, nel mese di ottobre, è rimasto colpito dalla nostra tragedia per eccellenza, il Vajont. Dopo 53 anni è venuto qui in provincia di Belluno in una sorta di pellegrinaggio sui luoghi dei suoi ricordi infantili. È andato a Erto e Casso, a Longarone, al cimitero di Fortogna. Senza retorica è ripartito con la sua bici vecchiotta ma bella, dopo avermi raccontato per filo e per segno tutto quello che è successo quella famosa sera del 6 ottobre verso le 10.30.

Sono emozioni, è uno dei motivi per cui sono contenta di gestire un posto di sosta. Mi sono simpatici i ciclisti, sono persone speciali, hanno esperienze uniche da condividere e sono aperti, liberi, vagabondi nel senso nobile del termine.

Piera

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